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Intervento CIIS Convegno Erickson 2011

[continua dalla prima pagina)
 
 
1.       I DUE CONCETTI POSTI ALLA BASE DI QUESTO MODELLO: RESISTENZA CONTRAPPOSTA A INNOVAZIONE 
La questione che sottende al modello proposto è da ricercare fra le pieghe del resistere o dell’innovare. Non è data una terza possibilità. E questo ci obbliga ad optare per l’una piuttosto che per l’altra, orientandoci su percorsi prestabiliti.  Ma la questione potrebbe anche essere mal posta … perché, secondo me, non si tratta di “resistere” e tantomeno si tratta solo di “innovare”. Resistere … MA resistere A CHE COSA? All’innovazione forse?
... oppure resistere per mantenere saldi alcuni principi irrinunciabili, come
-          la condivisione del processo di integrazione scolastica e la sua conseguente irreversibilità,
-          le motivazioni che sottendono la maggior parte delle norme emanate a tutela del processo inclusivo,
-          la filosofia che anima e sostiene questa scelta di civiltà …
se questo è inteso come RESISTERE … ebbene, non resta che attestarci su questo fronte.
 
Spostiamo ora l’attenzione sull’altro aspetto: INNOVARE. L’innovazione è un processo in divenire, che modifica quanto esiste, protendendolo verso una crescita ulteriore. Ora, la questione, che naturalmente necessiterebbe di un maggior approfondimento,  è proprio ancorata a questo interrogativo: CHE COSA SI DEVE INNOVARE? Che cosa nella scuola dell’integrazione necessita di essere urgentemente innovato?
L’analisi su cui poggia il “modello oggi qui presentato” e l’analisi della realtà scolastica che ogni giorno viviamo nelle nostre scuole, ci racconta di una scuola dell’integrazione sostanzialmente priva di una sua identità e connotata da molte criticità. È unascuola, quella dell’integrazione, che sta sperimentando una condizione fallimentare, in cui si lamentano
a)      scarsa professionalità e inadeguata preparazione tanto degli insegnanti quanto dei dirigenti scolastici,
b)      reiterata e costante delega del processo di integrazione al solo docente incaricato su posto di sostegno,
c)       utilizzo improprio degli insegnanti di sostegno, costretti a supplire i colleghi assenti,
d)      MANCATA CONTINUITÀ EDUCATIVO-DIDATTICA,
e)      … ma anche il numero di alunni per classe, ogni anno sempre più elevato;  mancato tetto al numero di alunni con disabilità per classe;  SCARSITÀ DEGLI INVESTIMENTI PER L’INTEGRAZIONE;
f)       complessità della composizione delle classi e della loro gestione … le bocciature … i trattenimenti maturativi …
 
 
2.       L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA COME PLUS VALORE
in particolare la scuola soffre di una forte carenza di CULTURA DELL’INTEGRAZIONE. Se parliamo con gli studenti, quelli che hanno frequentato la scuola in questi anni, emerge che la loro percezione della presenza di compagni con disabilità è associata all’«USCITA DEGLI STESSI DALLA CLASSE». L’alunno disabile è colui che esce, che sta solitamente“oltre i muri” dell’aula, che condivide il percorso scolastico con se stesso o, come purtroppo avviene ultimamente in molte scuole italiane, condivide questo percorso con altri alunni, anch’essi con disabilità o con scarso rendimento scolastico (credo sia noto a molti, ma forse non a tutti, che OGGI, nella scuola italiana stanno ritornando nella pratica le classi differenziali; non sono condizioni legali … tuttavia imperversano e … vengono indicate, anche queste, come “proposte innovative” o addirittura come “buone prassi”. C’è seriamente da preoccuparsi rispetto ad un certo genere di innovazione.
Al tempo stesso, con sempre maggiore insistenza, molte associazioni di genitori con figli con disabilità, ma anche molti insegnanti o rappresentanti del mondo civile, auspicano la presenza, nella scuola, di personale dotato di competenze relative alla sindrome o alla patologia degli alunni con disabilità.
E si parla di “didattica per l’autismo”, “didattica per i down”, “didattica per l’asperger”, anteponendo in tal senso la sindrome alla persona, che viene così negata nella sua identità e dignità (senza rendersi conto che in tal modo si reintroduce quell’approccio sanitario tipico del primo periodo della presa in carico nella scuola dei disabili, quello dell’inserimento, quando la disabilità era erroneamente considerata una malattia. Oggi, però, ha un altro nome: oggi ci si appella all’inclusione e, anche in nome dell’inclusione, si ricostruiscono quei muri che la legge 517 prima e la 180 poi avevano smantellato.  Si chiama inclusione … già, ma riproduce, nelle prassi una condizione di segregazione e di separazione)
 
I nodi del confronto
Se per il termine  resistere non vi è spazio di argomentazione, perché si attesta sui principi, neppure per il termineinnovare sussistono condizioni tali da chiamarlo pienamente in causa. L’integrazione, quella riconducibile a prassi consolidate e acquisite dal sistema scuola, se si escludono poche esperienze lodevoli, non è ancora decollata. Si trova lì, sulla linea di partenza, allo start, in attesa di un VIA da parte dello starter … perché? Perché alla scelta non sono seguite le condizioni per renderla effettiva. La normativa ha dettato regole, ma si è pure ripiegata su se stessa, non andando oltre e non ricercando una evoluzione in senso di crescita del processo stesso.
Vediamo come, analizzando la questione sotto il profilo di una delle figure ritenute (a mio parere in senso riduttivo e limitato) figura-cardine del sistema di integrazione.
 
3.       LA TERZA GLI ATTORI DELL’INTEGRAZIONE SCOLASTICA, CON UN OCCHIO DI RIGUARDO AL DOCENTE PER LE ATTIVITÀ DI SOSTEGNO ALLA CLASSE.
Possiamo dire che quando si parla di integrazione scolastica tutto sembra ruotare attorno ad un unico soggetto. L’insegnante di sostegno. Nei convegni, nei seminari, a scuola … integrazione = insegnante di sostegno. Salvo poi richiamare con una certa veemenza che l’integrazione non può essere delegata al solo docente di sostegno.
E noi, insegnanti di sostegno, ne siamo profondamente convinti. Siamo consapevoli del fatto che l’integrazione o la si gioca insieme, cioè con tutti gli insegnanti della classe, secondo il paradigma della corresponsabilità in una dimensione collegiale, oppure parliamo di “aria fritta”.
 
Ma oggi si continua a ripetere che il sistema fa acqua e non funziona, che l’integrazione o non è partita oppure è incompleta … che bisogna fare qualcosa … Allora quale cura adottare? Si parte alla ricerca della parte “malata”, quella sa sanare … e si inciampa nel docente di sostegno …
Ricordate quando l’allora consigliere del Ministro Moratti, il prof. Drago Rosario, ventilava l’ipotesi della “soppressione” (mi si conceda il termine) del docente di sostegno? qualche clamore si sollevò al riguardo …
Potremmo pensare a fare a meno di questa figura? Senza pregiudizi di sorta, possiamo ragionarci attorno …
Direi di richiamare alcuni elementi sostanziali, che, non so perché, difficilmente vengono ricordati:
-          Il docente di sostegno è un insegnante
-          Firma lo stesso contratto di tutti gli insegnanti
-          Sempre contrattualmente assolve stessi compiti e funzioni di tutti gli insegnanti.
È un insegnante e non, come qualcuno ci vuole, un samaritano o un missionario o persone con la vocazione di aiuto … o ancora  che hanno fatto una scelta di vita … siamo insegnanti, a servizio dello stato, incaricati ad assolvere i compiti che ci sono stati assegnati.
Siamo uno, sottolineo UNO, dei tasselli che vanno a comporre il puzzle dell’integrazione. Con aspetti peculiari? Può essere, dato che la nostra formazione ha qualcosa di “aggiunto”. Ma non va trascurato il fatto sostanziale che siamo UNO dei tasselli e non l’intero puzzle.
E allora perché se il sistema integrazione va male si pensa sempre e unicamente al docente di sostegno?
Vediamo il modello oggetto della nostra attenzione:
-          Se la scuola dell’integrazione si è caratterizzata con la presenza del docente di sostegno DENTRO la classe, il modello oggi proposto, invece, fa uscire il SOSTEGNO dalla classe, portandolo “fuori” e vestendolo di caratteristiche diverse.
All’insegnante di sostegno, “insegnante specializzato”, viene contrapposta una figura “non docente”, specialista, con professionalità mirate sulle diverse aree di disabilità (campi di expertise!!!) … Non è ben chiarito cosa si intenda per “aree di disabilità” e questo si presta a dubbie interpretazioni … si riferisce forse a specifiche sindromi? A specifiche patologie?  … oppure a specifiche competenze come aveva anticipato l’Intesa Stato-Regioni del 2008? Quello della specializzazione per le patologie è un tema ricorrente … pericoloso, che porta alla deriva il processo inclusivo, in quanto apre le porte ad una cultura fuorviante, che porta ad ex-cludere e non certo ad includere!!!
 
Se il modello proposto accoglie la formazione di tutti i docenti (starei attenta comunque ad accontentarmi dei crediti previsti dal DM 249/2010 … occorre in realtà una formazione più completa … non “appena appena accennata”!!!), partendo dal presupposto “tutti specializzati”, a che pro inventare figure professionali “specialisti in specifiche aree della disabilità”, privi dell’esperienza quotidiana dell’insegnamento, che operano come consulenti esterni entrando in classe? aleggia la forma mentis dello stigma … alunno con sindrome autistica: intervento del consulente esterno specialista sulla sindrome autistica.
Anche in questo caso si sottrae alla scuola il compito pedagogico-didattico che la distingue, insistendo ad orientare l’azione su un profilo di intervento sanitarizzante. E questo sarebbe in contrasto con quanto invece proposto in relazione al profilo di funzionamento. Che personalmente ribattezzerei culturalmente …
con
Profilo dinamico di funzionamento … proprio per il “divenire” che lo caratterizza e che deve essere posto in risalto.
Innovare la scuola dell’integrazione è essenzialmente agire sulla figura del docente di sostegno?
forse è il caso di muoversi a 360°, ruotando l’attenzione all’intero sistema, che il modello cerca di disegnare, ma che sostanzialmente tende a radicalizzare prevalentemente  attorno ad una figura cardine del sistema.  
È palese che la figura del docente curricolare viene sostanzialmente MINIMIZZATA … Ma il fatto è che o l’integrazione passa attraverso la collegiale corresponsabilità di tutti gli insegnanti della classe, adeguatamente formati, oppure qualsiasi proposta, compresa questa, non potrà che rappresentare una ennesima “INGESSATURA” del processo inclusivo.
 
 
           4. INFINE: I PROTAGONISTI, COLORO PER I QUALI IL SISTEMA<SCUOLA PREDISPONE E ATTUA GLI INTERVENTI EDUCATIVO-DIDATTICI
 
Per cercare di trovare una possibile ricetta bisogna rifarsi al termine stesso di “INTEGRAZIONE”, ovvero al suo inderogabile richiamo alla RECIPROCITÀ.
INTEGRAZIONE, ANCHE QUELLA SCOLASTICA, È ANZITUTTO RELAZIONE RECIPROCA NELLA COMUNITÀ SCOLASTICA E PER GLI ALUNNI È RELAZIONE RECIPROCA, VOLTA ALLA CRESCITA, FRA I COETANEI DELLA CLASSE. MA IL MODELLO PROPOSTO orienta la sua attenzione SULL’ORGANIZZAZIONE, SUL SISTEMA SCUOLA. Indubbiamente doveroso richiamo!!!. Ma sembra che il focus non riesca ad allontanarsi dall’aspetto organizzativo e che non miri con decisione alla dimensione vera e concreta dell’integrazione cioè all’importanza della relazione continua fra gli alunni della classe. perché è Questo è il vero cuore del processo inclusivo.
 
In sintesi
Per affrontare una questione complessa e delicata come quella dell’integrazione affidandoci unicamente alla scelta di una parte, resistere, o dell’altra, innovare, ritengo occorra
·         Partire dal contesto classe, destinatario dell’azione educativo didattica, ed esprimersi chiaramente riguardo alle prassi attuate e attuabili con tutti gli alunni, vale a dire ri-confermare il significato di integrazione come relazione e occasione di crescita negli apprendimenti e nella socializzazione in dimensione reciproca per gli alunni della classe (psicologia – pedagogia – didattica)
·         riconsiderare la filiera formativa (chi forma chi – docenti universitari – dirigenti  ai vari livelli  - docenti scolastici – (di sostegno e curricolari) – assistenti alla persona – collaboratori scolastici – famiglie- ecc). Se l’Italia attraverso un significativo percorso culturale ha di sicuro già fatto una scelta ideale, quella dell’integrazione, va detto, che essa non è ancora stata recepita pienamente nella prassi quotidiana dell’azione scolastica. Lo testimonia il fatto che nelle classi sono inviati docenti (e nelle scuole dirigenti scolastici) privi o carenti di competenze in ambito inclusivo. Sembra non avvertirsi come necessità inderogabile la formazione di tutti gli insegnanti della classe. Il modello oggi ce lo propone, ma anche in questo caso, in forma non completa. Non dobbiamo dimenticare il fatto che l’alunno con disabilità è alunno di TUTTI GLI INSEGNANTI DELLA CLASSE.
·          definire i criteri per valutare il  sistema “scuola”, inteso non solo come valutazione degli  insegnanti (ma chi valuta chi?). Un sistema di valutazione che valuti le azioni per  l’integrazione: come viene attuata, se viene attuata, … quali sono i risultati raggiunti, si suol dire “L’EFFICACIA E L’EFFICIENZA”.  Ben vengano gli indicatori di qualità … indubbiamente … ma quelli restano dati oggettivi che POSSONO ESSERCI MA CHE NON MI QUALIFICANO IL PROCESSO IN SÉ. Devo quindi poter valutare adeguatamente e con strumenti precisi quali prassi sono state messe in atto e quali risultati sono stati conseguiti sotto il profilo della relazione, della comunicazione, della socializzazione e degli APPRENDIMENTI.
·         fissare paletti e procedure (Composizione delle classi -  tempi e modi della stesura della programmazione – verifica e valutazione delle prassi attuate – ecc)
 
Come Associazione e non solo ci stiamo muovendo in questa direzione: stiamo ragionando sull’integrazione partendo proprio dal gruppo-classe attraverso il coinvolgimento corresponsabile di tutti gli insegnanti, perché riteniamo che senza la loro diretta partecipazione al processo di integrazione scolastica, ogni altra iniziativa sia destinata a fallire.

 

 

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